Sono circa trent’anni che esercito la professione di psicologa.
Da subito mi sono trovata in un mondo complesso, difficile e soprattutto impegnativo sul piano mentale ed economico. Una volta uscita dall’Università, mi sono sentita “un punto interrogativo”, cioè senza strumenti adeguati ad iniziare un lavoro in cui le mie capacità potevano essere messe al servizio delle persone che avrei dovuto aiutare.
Sono sincera, non è stata la mia prima scelta di lavoro perché prima volevo fare la scultrice – ed ho studiato per questo. Poi mi sono orientata su filosofia – visto che quando ero piccola, Benedetto Croce che frequentava la casa del nonno, discuteva molto sulle nuove teorie psicologiche di Freud e Jung.
Quando sono giunta alla fine degli studi di Filosofia, uno dei miei prof, Pietro Colletti, mi ha instradato sugli studi di psicologia che, secondo lui, erano più consoni a tutti gli esami che avevo scelto in quel percorso e, in effetti, m’interessava più capire i tanti perché del comportamento individuale fin dai suoi primi anni di vita, piuttosto che le motivazioni filosofiche che muovono le masse.
Dal 1990 ad oggi non mi sono mai permessa il lusso di dire “ho finito di studiare”.
Mi sono iscritta da poco ad un nuovo corso per il 2021-2022. Secondo me, infatti, è sempre più difficile essere psicologi adeguati ai vari progressi delle scienze psichiatriche e neurologiche. E non solo: molti di noi operano anche nell’ambito socio-psicologico, nell’ambito della psicologia scolastica, forense e tanto altro ancora.
In poche parole, la nostra professione richiede un continuo studio per essere adeguati alla cura delle persone che si rivolgono a noi. Invece sono proprio queste ultime che anziché fare un percorso che permette di vivere meglio, di affrontare con meno ansia i vari imprevisti della vita, si vergognano di chiedere aiuto a noi PSICOLOGI.