Negli ultimi anni, gli studi sul ruolo del caregiver si sono intensificati a fronte della crescita esponenziale della presenza di demenza nella popolazione. Nei paesi industrializzati essa raggiunge l’8% dopo i 65 anni di età e, negli ultrasessantacinquenni sale a oltre il 20% dopo gli 80 anni. Questi dati indicano che una persona su 5 è affetta da demenza. Secondo alcune proiezioni, i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei prossimi 30 anni nei paesi occidentali. Questo incremento è parzialmente imputabile ad un miglioramento diagnostico, e in parte all’aumento continuo del numero di persone anziane grazie alle migliori aspettative di vita.

In Italia, secondo la stima dei dati ISTAT del 2019, gli ultraottantenni sono più di 4 milioni. L’età è il fattore di rischio principale per le demenze, i soggetti affetti saranno in continuo aumento. Di conseguenza, è prevedibile un aumento parallelo delle patologie legate al caregiver, che potremmo riassumere in tre principali costrutti psicologici: Distress del caregiver; Burden del caregiver; Grief del caregiver.

Il costrutto di distress del caregiver si riferisce ad un vissuto di marcato stress che è determinato dalle ripercussioni psico-fisiche che la patologia (demenza) può avere sul familiare che costantemente si prende cura del paziente (Ullo e De Domenico, 2015). Come specificato anche sopra, la demenza è una condizione che fin dalla sua diagnosi determina un cambiamento nel sistema familiare, e tale cambiamento continua insieme alla progressione della malattia. Nello specifico, il familiare che si prende cura del paziente, con il passare del tempo, non si sente più riconosciuto nel suo ruolo precedente (coniuge o figlio/a), con conseguente confusione e percependo una condizione di privazione. Anche la relazione del paziente con il familiare si trasforma: da una relazione di reciprocità con una condizione di mutuo aiuto, si modifica in una relazione unilaterale, in cui l’unico ruolo attivo è quello del caregiver. Questo contesto è spesso percepito e vissuto dal caregiver come intollerabile, impattando così la salute psicofisica del caregiver stesso.

Per quanto concerne il concetto di Burden del caregiver, la definizione maggiormente accettata e utilizzata in letteratura è stata proposta da George et al., 1986, che definiscono il burden come un costrutto percepito dal caregiver, complesso e multidimensionale che include conseguenze fisiche psicologiche, emotive, sociali e finanziarie, che possono essere esperite dai familiari di pazienti affetti da demenza. Da una review di Beinart, e colleghi del 2012, emergono le principali conseguenze per i caregiver che si possono riassumere in: (1) isolamento sociale e solitudine (ambito sociale); (2) depressione, ansia e senso di colpa (psicologiche); (3) fatica, dolori fisici, disturbi cardiovascolare e metabolici (ambito fisico); (4) disoccupazione e costi per attrezzature medico-specifiche (ambito finanziario). Dati in letteratura confermano che il burden è una condizione impattante con manifestazioni psicofisiche che possono quindi determinare un reale peggioramento della salute mentale come lo sviluppo di ansia, depressione, esaurimento emotivo, un peggioramento del funzionamento cognitivo, ma anche un peggioramento della salute fisica come una riduzione delle difese immunitarie, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno (Pinquart et al., 2003). Beinart e colleghi (2012) hanno individuato i fattori che contribuiscono allo sviluppo del caregiver burden. Si tratta di aspetti legati al caregiver stesso, come età, durata dell’assistenza, il sesso, il reddito, le strategie di coping adottate e la rete sociale di supporto. Hanno evidenziato come influenti anche aspetti legati al paziente quali il livello di patologia, la presenza di sintomi psichiatrici e comportamentali e la perdita di autonomia. Inoltre, uno studio del 2015 di Fianco e collaboratori ha dimostrato come risorse sociali, familiari e personali possano determinare una migliore qualità di vita del caregiver. Da questi studi possiamo concludere che, in tale contesto, vanno sostenute sia le risorse personali che sociali fin dalle prime fasi di malattia poiché possono ridurre gli obblighi percepiti e i livelli di stress.