Le emozioni secondarie sono emozioni apprese, sono definite emozioni complesse in quanto si originano dalle emozioni innate, ma si sviluppano e si modificano con lo sviluppo, con la cultura, con la società e la famiglia. Tra le emozioni secondarie ricordiamo l’allegria, la vergogna, il senso di colpa, la nostalgia, il rimorso, l’invidia, la gelosia. Tutte queste emozioni sono specifiche della specie umana (compaiono intorno ai 2 anni) e non sono considerate emozioni universali in quanto dipendono dalla cultura e dall’ambiente circostante.
Ma quando le emozioni diventano patologiche?
Tutte le emozioni siano esse innate o apprese possono evolvere in emozioni patologiche ossia emozioni caratterizzate da una forte o debole intensità e una lunga durata causando la rottura dell’equilibrio e del benessere personale. Ma da cosa dipende l’intensità? Per rispondere a questa domanda useremo i principi teorici della terapia cognitiva. Secondo tale teoria le nostre emozioni sono generate dall’attribuzione cognitiva che noi diamo all’evento. Possiamo dire che le valutazioni cognitive, che a loro volta sono legate alle nostre credenze, sono pesantemente responsabili del tipo di emozione che proviamo e pure dell’intensità dell’emozione. Inoltre, sebbene il disagio degli esseri umani ha numerose determinanti, il loro mantenimento dipende da ciò che l’individuo continua a pensare.
Lo psicologo Albert Ellis sostiene che tutte le convinzioni irrazionali come derivate da tre doverizzazioni di base (e relative catastrofizzazioni): doverizzazioni su sè stessi, sugli altri e sulle condizioni di vita. Tutti questi pensieri, che genereranno emozioni disagianti, dipendono dal vissuto personale, dalle esperienze, dalla storia di vita e dalle conoscenze acquisite durante lo sviluppo. Secondo il modello di Ellis Il modo più efficace per ridurre la sofferenza emotiva consiste nel cambiare il proprio modo di pensare. Infatti, andando a modificare, a mettere in discussione tali pensieri disfunzionali è possibile cambiare l’intensità delle emozioni, sperimentandole al di sotto di una certa soglia che non conduce ad uno stato di malessere.
© Copyright| Psicologa| Dott.ssa Maddalena Manca