Perdonare non è un processo semplice e veloce, ma è un processo lungo e complesso che inizia con la scelta di voler abbracciare il cambiamento. Come visto prima, voler perdonare qualcuno o se stessi, non significa dimenticare il male ingiustamente subito, accettare il danno e la persona che ci ha offeso sperando magari in un pentimento, o offrire clemenza e cercare giustificazioni alla sofferenza. A differenza del pensiero di molti, perdonare non è sinonimo di debolezza o sconfitta. Perdonare significa accettare quello che è successo e concedersi l’opportunità di abbandonare l’odio, il rancore, la disperazione, il risentimento e tutti quei sentimenti che ci risucchiano le energie. Perdonare è un atto di coraggio, forza, amore e rispecchia maturità psicologica perché ci permette fare pace con l’altro e con se stessi in modo che l’offesa ricevuta non ci provoca più dolore. Il processo del perdono come processo di cambiamento ci permette di comprendere profondamente le cose, noi stessi, i nostri limiti, la nostra fragilità e vulnerabilità e ci dà la possibilità di ricordare e lasciare andare un danno subìto o commesso, di avere un nuovo modo di vedere e di vivere gli eventi dolorosi del passato senza sminuirne la gravità e di trasformare il dolore in qualcosa di più positivo.

Sebbene, come abbiamo visto, il perdono è un processo che richiede tempo ed energie, per molte persone è difficile abbracciare tale scelta ed è più semplice seguire i sentieri del giudizio, della condivisione, dell’accettazione o della rabbia. Alla base del perdono possono esserci più motivazioni: possiamo perdonare qualcuno per motivi religiosi, infatti, nella religione cristiana il perdono è alla base dell’amore e delle relazioni; possiamo perdonare per motivi morali per esempio per evitare di violare i nostri valori morali o per sentirci moralmente superiori all’altro; per motivi relazionali, per esempio perdonare per continuare serenamente o per avere più potere all’interno della relazione; oppure si può perdonare per liberarci di un peso, per cancellare il senso di colpa dell’accusa.

Indipendentemente dalle motivazioni sottostanti che spingono una persona alla scelta del perdono, eliminando rancore, rabbia, risentimento e voglia di vendetta eliminano anche tutte quelle emozioni che ci avvelenano e risucchiano all’interno di spirali negative per ritrovare un benessere psicologico e fisico.

 

 Negli ultimi anni, differenti studiosi hanno approfondito il tema del perdono. In particolare Enright ha proposto il modello  processuale secondo cui il processo del perdono si sviluppa nel tempo e coinvolge strategie cognitive, emotive e comportamentali. Il modello processuale è un modello che spiega come le persone arrivano a perdonare attraverso una serie di fasi che però possono variare individualmente da persona a persona e quindi non per tutti è necessario passare in tutti gli stadi per arrivare al perdono.

  Secondo il modello, in seguito ad un danno la persona offesa sperimenta sofferenza psicologia a causa di emozioni negative come rabbia, rancore, vergogna e risentimenti. Questa è la fase della scoperta, ossia la fase in cui il soggetto esamina le sue difese psicologiche e le problematiche, si confronta con la propria rabbia e vergogna ed assume consapevolezza dell’energia emotiva esaurita. Il continuo rimuginare sugli eventi accaduti e la volontà di voler lenire la propria sofferenza conducono la persona offesa alla fase decisionale. In questa seconda fase la persona ferita inizia a capire che le vecchie strategie di risoluzione non funzionano e comincia ad avere un’apertura a nuovi approcci verso il perdono. In questo momento l’offeso si trova davanti a un bivio: da una parte rivendicare personalmente l’offesa subita, mentre dall’altra rinunciare alla vendetta per punire l’altro e affidarsi alla clemenza. Quando la persona considera la possibilità del perdono, può decidere di abbandonare la strada della vendetta e cercare di lavorare e impegnarsi sul perdono. La scelta di affidarsi alla clemenza e alla benevolenza secondo l’autore ha una motivazione sottostante più forte rispetto alla ricerca della vendetta. La forte motivazione risiede nella scelta della strada del perdono e dunque, nella volontà di metter in atto nuove strategie cognitivo-affettive che aiutano l’offeso a percepire l’offensore come vulnerabile per il quale è possibile provare empatia e compassione.