In che modo? Con la possibilità di tornare in me stesso.

Occorre allora richiamare alla mente la saggezza del deserto che da luogo aspro, inospitale, minaccioso diviene metafora  di quella parte intima e vera della nostra anima non contaminata dall’esterno:  esso ci insegna ad apprezzare di nuovo il valore delle persone e delle cose, in modo che si spezzi il rivestimento soffocante che avvolge il cuore. Perché il fine che dà significato alla vita non è mai una cosa, ma il senso che collega le cose. Forse è questo che abbiamo perso nella frenesia della vita quotidiana. Il filo conduttore, ciò che dà sapore e sostanza alla nostra vita. Sapere di essere Amati. Sentire di essere Amati. Gratis. Così come siamo. Senza make-up psicologici o spirituali. Consapevoli di essere stati pensati, voluti, chiamati a vivere nella storia per un tempo. Con un senso, una missione affidata esclusivamente a ognuno di noi. Tutta da scoprire. Tutta da realizzare secondo il nostro preciso modo di essere e la nostra Unicità.

Ma come farò a VIVERE tutto questo se non so chi sono veramente?

Ogni persona che incontriamo, ogni evento che viviamo, racchiude in sé un tesoro, un mistero che a prima vista rimane nascosto e lo stesso vale anche per ciascuno di noi: oltre l’apparenza di quello che mostriamo davanti agli altri o di quello che facciamo, c’è un io profondo, che costituisce la nostra vera essenza, che da significato alle nostre scelte, che rende uniche le nostre relazioni. Questo “io interiore” risiede nel nostro cuore, è la parte più nascosta e più autentica di noi, e per questo anche la più vulnerabile, tanto che a volte per paura di venire feriti, la teniamo nascosta se non proprio sepolta dentro rigide armature che ci limitano e ci imprigionano. La frenesia della vita moderna che ci fa trascorrere le nostre giornate schiavi del tempo, della fretta, dell’ansia per la continua richiesta di efficienza e per la pretesa di dover essere sempre al massimo delle nostre prestazioni, ci rende sordi e insensibili ai nostri veri bisogni, ci fa perdere il contatto con noi stessi, allontanandoci anche da ciò che nella nostra vita è veramente importante e significativo.

Ed ecco che allora, per ridimensionarci, ci viene in soccorso questo prezioso tempo, il tempo del deserto, dove l’essere umano è privato della sua prosopopea che lo illude di poter bastare a se stesso, perché  lo riduce a un essere totalmente bisognoso e dove impara finalmente la verità su se stesso. È nel deserto che egli si rende conto di tutti i suoi limiti e soprattutto della sua incapacità di superarli. Da solo.

 Il deserto è proprio questa condizione di assoluta necessità che anela alla liberazione. Esso ci purifica, è la grande occasione che ci viene data per volerci davvero bene, attraverso la scoperta di chi siamo: quando tutte le voci e i rumori tacciono, come nel deserto, si crea lo spazio per l’ascolto, quello del cuore proprio e dell’altro. Solo nel silenzio della mente e del cuore riusciamo a scoprire tutte le risorse che già possediamo perché ci sono state donate dal principio della nostra vita, fanno parte di noi e ci sono utili per affrontare le situazioni più impreviste; lì troviamo le risorse necessarie per guardare in faccia la realtà di quel che siamo senza scandalizzarci di noi stessi ma spinti, quasi incoraggiati da un Amore più grande, a modificare ciò che di noi fin’ ora non ci ha condotti a vivere in maniera gratificante e serena famiglia, lavoro, relazioni…lì riaffiorano affettuosi ricordi e antichi memoriali che fanno sorridere il cuore e ci aprono alla speranza di poter cominciare o ri-cominciare ad essere uomini e donne migliori. Sembra paradossale eppure il vivere una vita gioiosa e donata, ricca e soddisfacente si costruisce proprio sulle fondamenta dell’ aver vissuto consapevolmente un “buon deserto”, e di tornare a inoltrarsi in esso volontariamente ogni tanto per ritrovare se stessi e la propria artistica meraviglia interiore che ci è stata cosi’ amorevolmente donata.

Non trovate anche voi allora che tutta questa situazione di pandemia, se intesa e utilizzata bene, sia alla fine una grande benedizione?

Ammettiamolo pure, carissimi, ci vuole coraggio per inoltrarsi nel deserto e rimanerci. E tuttavia costituisce un’occasione unica da non lasciarsi sfuggire e da sfruttare tutta a nostro vantaggio.

Ma cosa significa “abitare il deserto”? Significa prendere una pausa  anche solo per brevi momenti dal mondo, per fare i conti con noi stessi, ascoltare la saggezza del cuore, riscoprire l’essenziale, i sentimenti più autentici, grazie anche all’aiuto che può venirci dall’incontro e dalla condivisione con gli altri o dalla Parola di Dio. Insomma, possiamo riattivare gli occhi interiori, i soli capaci di cogliere l’invisibile, la Forma originaria delle cose. Questa è la saggezza del deserto, cioè la capacità di “pesare” il nostro stare al mondo, scandagliare le profondità dell’anima per attingere energie esistenziali alternative. Il deserto ovviamente conduce alla solitudine ed esige lo starsene da soli. Esige il silenzio che ci guida alla soglia di noi stessi. Il deserto ci obbliga al dialogo interiore che lascia affiorare il nostro vero Io anche quando non ci piace molto quello che scopriamo dentro. Ma di lì si parte!!  Certo è difficile essere ritirati senza in qualche modo isolarci da un mondo che ci distrae, ma la solitudine che conta è quella del cuore: si tratta di una qualità o di un atteggiamento interiore che non dipendono dall’isolamento fisico. Ecco dunque svelata la preziosità della storia odierna, colta in tutta la sua splendida  potenzialità( in quanto è sempre fatta salva dal Signore in primis la libertà di scelta dell’uomo) per ognuno di noi: il convergere, il con-vertirsi, il cambiare rotta. Che in fin dei conti è il senso stesso della Quaresima. E che ben venga allora questa lunga quaresima da Covid19 se può portarci sudati, faticosi ma succulenti frutti di virtù, miglioramento e benessere interiore e sociale. Anche perché nulla è eterno, tranne Dio solo, perciò tutto passa. Anche questo tempo passerà.

Il deserto infatti, come questo tempo,  è solo una tappa della vita, non la meta. Non si rimane sempre nel deserto. Gesù ci rimase quaranta giorni, poi – fortificato – fu pronto per la sua missione. Il deserto è perciò un luogo di decisione: lo si affronta per libera scelta o talvolta obbligati dalla storia perché poi si vuole continuare a vivere in modo più vero e più giusto. E’ luogo di scelta: nella lotta interiore tra la persona autonoma e indipendente che pensa di avere già tutto in sé e la persona bisognosa di fronte alla realtà che lo schiaccia, si può soccombere oppure trovare nuovi sensi e significati alla propria vita; arrendersi a Dio, riconoscendo che solo lui può soddisfare i nostri veri bisogni. Iniziare a mettersi in discussione. Chiedere di  avere luce sulla strada da percorrere, sulle cose da modificare, facendo chiarezza dentro sé stessi. Senza paura di morire psicologicamente e ontologicamente.

La preghiera, il ringraziamento, la fiducia che qualcosa di buono per noi c’è anche in questa situazione ma non ancora si vede chiaro, diventa allora fede e il deserto rifiorisce. Dentro e fuori di noi.

“L’essenziale è invisibile agli occhi” (A.DeSaint-Exupèry)