Gli adolescenti hanno bisogno della disciplina per sentirsi sicuri e fuori pericolo mentre imparano ad andare d’accordo con gli altri e a vivere in società. La migliore disciplina li porta ad imparare l’autodisciplina. Spesso c’è confusione tra i genitori e gli educatori tra disciplina e punizione, che vengono considerati quasi sinonimi, mentre in effetti sono due cose completamente diverse.
Cosa è la DISCIPLINA?
La disciplina si realizza nel tentativo di eliminare o di correggere i comportamenti inadeguati dei ragazzi. I metodi disciplinari c devono adattarsi all’età, alle abilità e alle esigenza dell’adolescente. Questo significa che individui diversi necessitano di impostazioni disciplinari diverse e che lo stesso ragazzo necessita di vedere un cambiamento disciplinare via via che cresce.
Martin Hoffman ha proposto una classificazione in tre diversi tipi dei metodi disciplinari adottati più di frequente dai genitori nella cultura occidentale. Il primo tipo consiste nell’affermazione dell’AUTORITÀ da parte del genitore, che si serve di ricompense o (più spesso) di punizioni, reali o solo minacciate, per controllare il comportamento del figlio. Il secondo tipo è il cosid- detto RIFIUTO AFFETTIVO, messo in atto (spesso involontariamente) da quel genitore che esprime disapprovazione nei confronti del bambino, anziché dell’azione che ha compiuto. Il rifiuto affettivo può assumere la forma di asserzioni verbali, del tipo “Sei un buono a nulla», oppure di manifestazioni non verbali, come l’ignorare freddamente il figlio. Al pari di molti altri psicologi, Hoffman ha sottolineato gli effetti dannosi di entrambi questi atteggiamenti genitoriali. Hoffman sostiene che l’affermazione della propria autorità da parte di un genitore sposta tutta l’attenzione del bambino sulla punizione o sulla ricompensa, anziché stile ragioni per cui il suo comportamento è giusto oppure sbagliato. Un bambino educato con questo metodo può continuare a esibire un comportamento inadeguato quando pensa di non poter essere scoperto, e comportarsi bene soltanto in presenza di qualcuno che può notarlo e ricompensarlo per questo. Inoltre, sia la punizione sia il rifiuto dell’affetto evocano nel bambino emozioni negative (rabbia nel caso della punizione, ansia nel caso del rifiuto), che possono indebolire la relazione genitore-figlio e provocare altri comportamenti sbagliati da parte del bambino.
Il terzo tipo di atteggiamento disciplinare individuato da Hoffman consiste nell’INDUZIONE, la modalità in cui il genitore, servendosi di un ragionamento verbale, induce il figlio a riflettere sulle proprie azioni e sulle conseguenze che ne possono derivare per le altre persone. Questo metodo, ritenuto da Hoffman il migliore, fa leva sulle capacità di empatia del bambino (il quale è in grado di sentire ciò che un’altra persona prova). Un genitore può rivolgersi a un figlio piccolo dicendo, ad esempio: “Quando colpisci Fabio qui, gli fai male e lo fai piangere”, oppure, a uno un po’ più grande: “Quando prendi in giro Susanna e le dici delle brutte parole, la fai sentire come se nessuno le volesse bene». Questo tipo d’intervento aiuta il bambino a rendersi conto delle conseguenze negative della sua azione, e al tempo stesso dimostra rispetto per il suo desiderio di agire correttamente. Lasciandogli tutta la responsabilità della decisione, l’induzione fa sì che il bambino arrivi a modificare il proprio comportamento in conseguenza di una scelta morale fatta in piena autonomia («Non voglio far del male a qualcuno”) e non per via delle ricompense o delle punizioni che possono arrivare da una fonte esterna, non sempre presente.
Benché nettamente favorevole all’induzione, Hoffman ritiene che gli educatori debbano a volte ricorrere all’affermazione della propria autorità quando si renda necessario insegnare al ragazzo che deve smettere di compiere un’azione veramente grave. Hoffman sostiene che, in questi casi, abbinare l’affermazione dell’autorità con l’induzione riduce le potenziali conseguenze negative della punizione. Se è stato privato del permesso di andare a giocare nel parco perché insisteva nel picchiare Fabio, il bambino comprende che l’azione punitiva dei genitori è sostenuta da una valida ragione morale. Dal momento che la punizione, in questo caso, non viene vissuta come un intervento arbitrario, o motivato dal dispetto o dalla mancanza d’amore, è più probabile che il bambino, da un lato, non abbia contro di essa una reazione di rabbia o di ansia, e dall’altro che sia indotto a riflettere su quanto è avvenuto e a interiorizzare la ragione morale che ha motivato l’azione dei genitori.
Non deve sfuggire la natura fondamentalmente cognitiva della teoria di Hoffman. Nella sua concezione, il fine della disciplina è indurre ai ragazzi a ragionare in termini morali sulle proprie azioni, non quello di evocare la sua obbedienza automatica. Questo fine è particolarmente appropriato per chi cresce nella cultura occidentale, nella quale le persone si trovano di continuo ad affrontare situazioni e dilemmi etici del tutto insoliti, che non sempre possono trovare soluzione nella semplice applicazione di consuetudini e precetti già appresi. Molte ricerche, condotte soprattutto su famiglie statunitensi di ceto medio, hanno rilevato correlazioni fra lo stile educativo dei genitori e il comportamento dei figli, come minimo coerenti con quanto prevede la teoria di Hoffman. In una di queste ricerche, ad esempio, si è analizzata la correlazione tra la tendenza di studenti di 11-12 anni a rispettare nel proprio comportamento certi principi etici — tendenza stimata tramite valutazioni espresse sia dai loro insegnanti sia dai compagni di classe — e lo stile educativo dei rispettivi genitori, valutato mediante interviste. Questo studio ha rilevato una correlazione positiva fra le stime del comportamento morale dei ragazzi e lo stile genitoriale quando questo era improntato al metodo della induzione, e una correlazione negativa se i genitori ricorrevano prevalentemente all’affermazione della propria autorità.
In generale, i bambini educati con stile autoritario mostrano, in presenza degli adulti, di compiacerne i desideri, ma in loro assenza esibiscono spesso comportamenti moralmente scorretti; ciò li rende meno popolari tra i coetanei di quanto non siano i bambini allevati da genitori che adottano lo stile induttivo. Inoltre, i bambini che ricevono dai genitori dimostrazioni costanti di calore e di rispetto per i loro punti di vista sono, in genere, più affettuosi e più sicuri di sé.
Gli adolescenti hanno bisogno di regole e limiti. Questi funzionano meglio se vengono decisi insieme a loro (CONTRATTO). Questo li aiuterà a sentire che hanno delle possibilità di scelta e in questo modo ci sono più opportunità per lui di diventare responsabile. Si tenga presente che i limiti per un/a ragazzo/a di 13 anni non sono appropriati per uno/a di 15 e lo sono ancora meno per uno/a di 18.
Quali regole?
- Una regola educativa è buona quando tiene conto della persona a cui si chiede il rispetto di tale regola. Pertanto più conosci tuo figlio e più sarai in grado di definire delle buone regole.
- Permetti a tuo figlio di correre alcuni rischi, ma allo stesso tempo tieni sempre in mente la sua sicurezza. C’è bisogno di alcune regole che proteggano la sicurezza di tuo figlio fuori e dentro casa.
- Non decidere le regole nel mezzo di una discussione accesa, di un conflitto, specialmente se tuo figlio si trova nei guai per aver fatto qualcosa di sbagliato.
- Confrontati con i genitori degli adolescenti frequentati da tuo figlio per accordarsi su regole comuni: sarà più facile ottenere collaborazione da tuo figlio.
- Rimuovi gradualmente i limiti man mano che tuo figlio comincia ad assumersi la responsabilità della propria vita.
- Lo stile rigido e repressivo, un tempo in grande uso, oggi è in declino. Sembra che le nuove generazioni abbiano sviluppato gli anticorpi necessari a contrastarlo. Dai racconti e dalle esperienze di tanti educatori si evince, infatti, che a nulla valgono i richiami ai principi e le misure coercitive. Il più delle volte si instaura un “muro contro muro” esasperante che non
produce soluzioni, anzi può produrre reazioni trasgressive ad oltranza per il semplice fatto di sentirsi limitati nella propria libertà e autonomia.
Uno stile basato sulla RELAZIONE, che consente il CONFRONTO e la NEGOZIAZIONE, la DIVERGENZA e l’OPPOSIZIONE in modo tale che i conflitti si possano trasformare in occasioni di crescita. Esso pone al centro della relazione l’individuo, per favorirne lo sviluppo personale e sociale e, in ultima analisi, la capacità di essere se stessi nell’appartenenza ad una comunità sociale.
Tutte quelle fino ad ora elencate sono PUNIZIONI. Usiamo la terminologia di uno studioso che tra i primi adottò questo formulario (Skinner): la punizione è il processo tramite il quale le conseguenze di una risposta rendono meno probabile che la stessa risposta si ripeta nel futuro. La punizione può essere positiva o negativa. Nella punizione positiva, l’arrivo di uno stimolo, come tra scarica elettrica per un ratto o un rimprovero per una persona, fa diminuire le probabilità che in futuro ricompaia la stessa risposta. Nella punizione negativa, l’abolizione di uno stimolo, per esempio sottrarre cibo a un ratto affamato o denaro a una persona, fa diminuire le probabilità che quella
Concludendo…
1. Comprendere lo stato d’animo del ragazzo/a che infrange una regola pattuita sta alla base di una buona gestione del conflitto.
2. Una buona gestione del conflitto sta alla base di una buona disciplina.
3. Una buona disciplina sta alla base di una buona autodisciplina.